Il peccato di tutti è il peccato di ciascuno!

 


Ci si chiedeva: come osiamo e presumiamo riparare, se noi stessi siamo peccatori?

 

Ma è proprio questo motivo invece che ci spinge di più alla riparazione ed esige da noi maggiore consapevolezza del nostro dovere. Nostro Signore si è fatto uomo per farsi solidale con noi, che eravamo peccatori. È il peccatore che ha offeso Dio e deve perciò, a causa dell'offesa arrecata, placare la divina giustizia e offrirne un riscatto. Ora è vero che noi dobbiamo riparare prima di tutto per i nostri peccati; ma vi è un nostro peccato che non sia anche il peccato di tutti? O piuttosto non vi è un peccato di tutti che non sia anche il nostro peccato? Prima di essere solidali con tutti gli uomini per un puro movimento di amore, come Cristo, prima di essere solidali con l'uomo per un atto di libera elezione, siamo solidali col mondo peccatore perché noi stessi siamo peccatori, perché noi stessi siamo responsabili di tutto il peccato umano. 

Non siamo come Gesù: in Gesù la riparazione è un puro atto di misericordia, è veramente un puro, gratuito atto di amore. Egli ha voluto riparare per noi mentre poteva non riparare, perché nessuna responsabilità egli aveva del nostro peccato. Egli è disceso su questa terra, ha voluto assumere una carne mortale perché nel suo amore non ha sopportato che noi vivessimo lontani da Lui, che noi dovessimo rimanere nel nostro peccato. Egli stesso lo ha assunto. Ma il nostro peccato non è in nessun modo il suo peccato; il nostro peccato potrà essere in qualche modo causa e ragione della sua pena, della sua Passione, ma solo perché Egli liberamente ha voluto farsi solidale con noi peccatori. Tuttavia la solidarietà del Cristo con noi peccatori non potrà consistere in altro che nell'assumere precisamente la pena del peccato; non potrebbe consistere mai nell'essere egli stesso veramente responsabile del peccato. L'unità fra noi e Cristo si stabilisce soltanto nella sua riparazione, mentre l'unità nostra con tutti gli uomini non si stabilisce soltanto con la nostra riparazione, ma sussiste anche senza la nostra volontà di riparare, perché questa solidarietà è nel peccato medesimo.

Il peccato di tutti è il peccato di ciascuno. È questa una delle verità che si dimenticano più facilmente. Come siamo portati dal nostro egoismo a sentirci separati dagli altri nel tendere verso la perfezione, così ci sentiamo separati dagli altri nella responsabilità del peccato umano.

Chi di noi, quando si confessa, accusa i peccati degli altri come suoi propri? Chi accusa i peccati non conosciuti, i peccati che l'anima non ha avvertito di commettere, ma dei quali tuttavia in qualche modo, per qualche ragione, essa porta una responsabilità personale? «Ab occultis meis munda me, Domine; et ab alienis parce servo tuo». Perdona noi dei peccati degli altri. Se accusiamo i peccati degli altri, li accusiamo come peccati degli altri, non come peccati nostri, eppure i peccati di tutti sono veramente i nostri peccati. Noi stessi portiamo la responsabilità del peccato universale, non ne portiamo soltanto il peso e il castigo per una libera volontà di amore. Volendo pagare per i nostri fratelli, di fatto paghiamo per noi stessi. Ognuno porta il peso di una responsabilità universale. Non solo perché tutti gli uomini sono peccatori, ma perché siamo cristiani. Non si commette peccato che, in qualche modo, non abbia in noi il suo principio e la sua sorgente, il suo fondamento remoto. Poiché è mediante i cristiani che si fa presente la Redenzione e deve essere salvato il mondo, ne deriva che, se questa salvezza non si compie e la Redenzione di Cristo non distrugge, non elimina il peccato del mondo, tutto questo dipende certamente da noi (in quale misura ne dipenda, ne è giudice Dio).

Se noi siamo il sale della terra, come può essere corrotta la terra, senza che questo sale sia divenuto scipito? Se il mondo è nelle tenebre, dal momento che noi siamo la luce del mondo, com'è possibile che queste tenebre non siano una precisa accusa contro di noi? Bastano pochi santi a salvare una nazione, basta un santo a salvare una città. Non è stato sufficiente il Curato d'Ars a ridare un'anima cristiana alla Francia? Quando entrò nella sua povera parrocchia, sembrava spenta la fede, non si faceva che ballare, mangiar la carne il venerdì, bestemmiare. Che cosa rimaneva di cristiano in quella piccola parrocchia di campagna? Quando morì, anche i più umili contadini, le persone più rozze non andavano mai a lavorare senza far visita in chiesa, senza ascoltar la Messa al mattino, senza ritornarvi ad ascoltare il catechismo la sera, e si accostavano ai Sacramenti. Non vi era più, in tutta la parrocchia, né bestemmia, né immoralità, né disprezzo per la legge divina, né noncuranza dei precetti ecclesiastici, ma in tutti un impegno di vita cristiana, anzi in tutti un impegno di perfezione evangelica. Questo ha operato un santo! Ma il Curato d'Ars non è riuscito soltanto a far santa una parrocchia, è riuscito in qualche modo a battezzare tutta la Francia. Egli è stato un richiamo, un vessillo alzato sulla nazione. Quante anime hanno sentito Dio e lo hanno veduto nell'umiltà di questo suo servo! Lo hanno contemplato, lo hanno riconosciuto in lui e hanno creduto. Attraverso l'esempio di perfezione che quest'uomo ha dato, la Francia ha ritrovato il suo Dio. Dopo la devastazione della Rivoluzione francese è impressionante davvero l'efficacia che ha avuto l'esempio di quest'uomo che, privo di doti umane, confinato nell'ultimo angolo della Francia, in una borgata di poche centinaia di anime, da solo, ha ridato un'anima cristiana alla Francia; non solo, ma ha suscitato dei santi: la Beata Maria della Provvidenza, il Beato Giuliano Emard e tante altre anime, dalla sua direzione spirituale hanno ricevuto un impulso che le ha portate alla santità. Un santo da solo è riuscito a far questo! Il peccato della nostra città in che misura dipende da noi? Lo possiamo noi determinare?

Non possiamo dire fino a che punto giunga la nostra responsabilità nel peccato degli altri, ma che vi sia una responsabilità nostra nel peccato degli altri, questo, sì, dobbiamo confessarlo umilmente. Siamo legati gli uni agli altri. Se veramente noi vivessimo una vita cristiana perfetta, certamente gli altri più o meno ne subirebbero il fascino, sarebbero come purificati dalla nostra presenza, sarebbero come sostenuti dalla nostra forza, sarebbero come svegliati dal loro torpore, acquisterebbero una maggiore potenza di amore per rispondere a Dio. Quale forza? Non so, tutto dipende dalla missione che ciascuno di noi ha ricevuto, perché ciascuno ha la propria missione.

Ma se io non sono chiamato ad essere come un S. Francesco d'Assisi – ad essere una lampada per tutti i secoli e per tutte le genti – se non sono chiamato ad essere un Santo Curato d'Ars, sono chiamato tuttavia in quanto cristiano ad essere, insieme agli altri cristiani, luce del mondo, sale della terra. Non vi può essere dubbio: a noi è affidata la responsabilità della salvezza umana.

 

FONTE: Don Divo Barsotti e Giuseppe Gioia, “La Mistica della Riparazione”, Edizioni Parva, Torino, 2022, cap. 19.

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