IL SILENZIO DINANZI ALLA CALUNNIA! Un episodio molto significativo della vita di San Gerardo Maiella
Quando si raccontano o si scrivono
storie belle, come quella di oggi, viene spontanea la domanda: “Ma è veramente successo?… Non è possibile …”
Indubbiamente la finalità di queste
storie è la morale che portano con sé per offrirla ad una umanità che spesso
perde il contatto con la saggezza eterna e dimentica la vocazione alla quale è
chiamata: essere santi, perché Dio è santo!
Ma una storia simile la incontriamo
nella vita meravigliosa di San Gerardo Maiella, umile frate redentorista.
Egli calunniato fu da una donna di aver
messo incinta una ragazza e innocente ingiustamente fu castigato ad un periodo
di isolamento dal suo fondatore S. Alfonso, indotto nell’errore dal silenzio
dello stesso Gerardo, che seguì il detto della regola di non difendersi dinanzi
all’accusa, ma piuttosto confidare in Dio.
Quando la verità venne alla luce, S.
Alfonso esclamò: “A me basterebbe come si
è comportato Gerardo in questa circostanza, per metterlo da vivo sugli altari”.
Davvero? (e sembra un gioco!).
C’era una volta un giovane monaco
anacoreta che viveva da solo nel silenzio di una montagna, tutto dedito alla
preghiera, allo studio della Parola di Dio, al lavoro e alla pratica della
penitenza.
Era un giovane alto e magro. Tutti lo
riverivano profondamente per la sua vita austera.
Vicino c’era un villaggio di contadini,
dove viveva una bella ragazza.
Un giorno, questa ragazza rimase
incinta.
Furiosi, i genitori le chiesero chi
fosse il padre. La ragazza, imbarazzata e impaurita, disse che era il giovane
monaco.
Notevolmente alterati, i genitori
andarono alla capanna del monaco e lo affrontarono con l’accusa della propria
figlia.
Egli esclamò: “Davvero?”
Da quel momento tutte le persone del
villaggio cominciarono a considerarlo un vigliacco.
Nacque un bambino. I genitori della
ragazza lo portarono dal monaco e gli chiesero di occuparsene, poiché lui era
il padre.
“Davvero?”, disse l’anacoreta con calma mentre accoglieva il bambino.
Per molti mesi, si prese cura del
bambino: lo lavava, gli cambiava i pannolini, gli dava la bottiglia del latte …
Fino a quando un giorno la ragazza non
poté più sopportare la menzogna e confessò che il vero padre era un giovane del
villaggio.
Precisò che non c’era stato niente tra
lei e il monaco, e che lei aveva inventato tutto perché voleva proteggere il
ragazzo.
I genitori andarono immediatamente dal
monaco, imbarazzati, per vedere se poteva restituire il bambino. Con molte
scuse, spiegarono cosa era successo.
“Davvero?”, disse ancora una volta l’anacoreta, mentre restituiva il bambino.
Era consuetudine nella vita monastica
che i monaci non si difendessero quando venivano accusati.
Essi si basavano sulle parole di Gesù
che disse: “Nulla vi è di nascosto che
non sarà svelato né di segreto che non sarà conosciuto” (Mt. 10,26).
E ancora: “Quando vi consegneranno, non preoccupatevi di come o di che cosa
direte, perché vi sarà dato in quell’ora ciò che dovrete dire: infatti non
siete voi a parlare, ma è lo Spirito del Padre vostro che parla in voi” (Mt.
10,19-20).
Oggi sembra che un’accusa ingiusta o una
calunnia mandi in tilt le persone più equilibrate: ma è meglio essere accusati
da innocenti, anziché fare il male!
Ci sono innocenti accusati ingiustamente e calunniati; ma Dio farà
risplendere la loro innocenza.
E la loro sofferenza? E’ come quella di
Gesù condannato ingiustamente.
Non è impossibile essere santi!
Fonte: t.me/catechismochiesacattolica
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