Nessun’anima è più disperata di quella che dice di volersela “cavare da sola”. L’anima cristiana sa che ha bisogno dell’aiuto divino.


L’esame di coscienza non solo dà sollievo alla nostra tristezza, non solo ci offre una seconda possibilità di essere perdonati, ma ci restituisce anche all’Amore. 

Nell’esame di coscienza una persona si concentra meno sul proprio peccato che sulla Misericordia di Dio, come il ferito si concentra meno sulla sua ferita che sull’abilità del medico che lo fascia e lo cura. 
L’esame di coscienza non sviluppa alcun complesso perché si compie nella luce della giustizia divina. L’uomo non è la norma, né la fonte della speranza.
Tutta la fragilità e la debolezza umane sono viste nella radiazione dell’infinita bontà di Dio; e una colpa non è mai separata dalla conoscenza della divina misericordia. 
L’esame di coscienza raffigura il peccato non come una violazione della legge, ma come una rottura di rapporti. Produce dolore non perché è stato violato un codice, ma perché è stato ferito l’Amore. Come la dispensa vuota induce a fare la spesa, così l’anima vuota è indotta a cercare il Pane della Vita.
Procedere all’esame della propria coscienza non significa concentrarsi su di essa come un mistico Orientale che contempla il proprio ombelico. L’eccessiva introspezione porta all’immobilità e alla morbosità.
Nessuno spirito, nessun’anima è più disperata di quella che dice di volersela “cavare da sola”. 
L’anima cristiana sa che ha bisogno dell’aiuto divino e perciò si volge a Colui che ci amava anche mentre peccavamo. 
L’esame di coscienza, anziché indurre alla morbosità, diventa quindi un’occasione di gioia. Ci sono due modi di rendersi conto della bontà e dell’amore di Dio: l’uno è quello di non perderLo mai, conservando l’innocenza; l’altro è quello di ritrovarLo dopo averLo perduto.


Fonte: "La Pace dell'Anima", del Venerabile Fulton John Sheen.

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