Perché Dio ci fa morire? Perché tronca la vita delle creature uscite dalle sue mani?

 


«Dio non crea per distruggere. Egli è la Vita e non poteva volere la morte. Egli è l'Amore e non poteva fare una cosa così dolorosa. Egli ha creato l'uomo per la felicità e per la vita immortale. Perché allora, si obietta, la sofferenza e la morte attanagliano l'umanità?

La risposta ci viene data dalla parola di Dio, incisa nella Sacra Scrittura (Sap. 2,23): «Dio ha creato l'uomo per l'immortalità; lo fece a immagine della propria natura. La morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo».

Satana, ribellatosi a Dio per orgoglio, lo odia. Però, non potendo sfogare il suo odio contro il suo Creatore, lo sfoga contro l'uomo, creatura prediletta da Dio, e verso di lui nutre una grande invidia perché andrà a occupare in Paradiso il posto perduto da lui e dai suoi angeli ribelli. Per questo tenta gli uomini a ribellarsi a Dio, per neutralizzare il suo disegno d'amore verso le creature umane, far perdere loro il Paradiso e renderli suoi schiavi all'Inferno. La prima creatura a essere tentata fu Eva, che, sedotta dalle lusinghe di Satana, disubbidisce a Dio e persuade suo marito Adamo a fare altrettanto. Commettono un peccato gravissimo di orgoglio, di superbia, di ribellione a Dio, chiamato «peccato originale» perché commesso da loro che sono l'origine dell'umanità.

Commesso il peccato originale, ecco riecheggiare la voce della Giustizia Divina (Gen. 3,16-19):

«II Signore Dio disse alla donna: Moltiplicherò i tuoi dolori e i tuoi parti, con dolore partorirai i figli; sarai sotto la potestà del marito ed egli ti dominerà. Poi disse ad Adamo: Poiché hai ascoltato la voce di tua moglie e hai mangiato dal frutto dell'albero, di cui ti avevo comandato di non mangiarne, maledetta sia la terra per causa tua! Con dolore ne trarrai il cibo per tutti i giorni della tua vita... con il sudore della tua fronte mangerai il pane finché tornerai alla terra, perché da essa sei stato tratto: polvere tu sei e in polvere ritornerai!».

Come nei figli si trasmettono i difetti dei loro genitori, così anche in noi, discendenti da Adamo ed Eva, si trasmette la pena del loro peccato: sofferenza e morte.

Dal giorno della condanna della Giustizia Divina contro l'uomo ribelle, noi siamo diventati vittime della fatica, del dolore e della morte. Però verrà giorno, l'ultimo dei giorni, e su quella polvere, in cui si è ridotto il nostro corpo, echeggerà onnipotente il comando della Misericordia Divina: «Sorgete o morti!». Noi risorgeremo. Infatti nel Vangelo (Giov. 5,28-29)

Gesù afferma solennemente:

«Verrà l'ora in cui tutti coloro che sono nei sepolcri (cioè tutti i morti), udranno la sua voce (la voce imperativa di Gesù) e ne usciranno fuori: quanti fecero il bene, per una resurrezione di vita, e quanti fecero il male, per una resurrezione di condanna».

La nostra morte perciò non è eterna, ma temporanea, fino alla fine del mondo. Per questo l'Apostolo S. Paolo ci esorta a non piangere come i pagani che non hanno speranza.

Con la morte ha inizio la vera vita, quella eterna. Tanto la Sacra Scrittura, quanto il Magistero della Chiesa insegnano che la salvezza o la dannazione eterna dipendono dalla condizione in cui si trova l'anima al momento della morte. La vita terrena è il periodo dell'unica prova che finisce con la morte, la quale fissa la condizione definitiva della persona: o beata in Paradiso, o sofferente nell'Inferno.

Con la morte l'unica prova è finita e non si ripeterà più, contrariamente a quanti credono erroneamente alla “reincarnazione”, teoria che sostiene che le anime, le quali al momento della morte non sono abbastanza purificate, passerebbero in altri corpi, per riprendere quel cammino di purificazione che le conduca alla purificazione finale e alla salvezza.


Tratto: "L'aldilà stupenda realtà" di P. Gnarocas.

 

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