IL CASO DEL CONFESSORE DI SANTA TERESA D’AVILA
Esorto tutti i lettori a leggere e soprattutto a meditare
con estrema attenzione un brano molto significativo tratto dal primo libro
famosissimo “Storia della mia Vita”, composto dalla prima donna ad essere stata
proclamata dottore della Chiesa:
Santa Teresa d’Avila.
Questo brano aiuterà tutti nella riflessione e
soprattutto a non giudicare le
situazioni peccaminose, in cui in più occasioni nella storia della Chiesa, i
sacerdoti hanno incappato e si sono trovati involontariamente coinvolti, perché in tante situazioni
burrascose ci sono delle vere e proprie trappole sataniche, che per disperdere
il gregge, Satana si serve di suoi inviati, magari persone che si fingono
fedeli, parrocchiani, amici, penitenti del sacerdote in questione, per
distruggere la dignità e la reputazione dei preti, affinché si spoglino delle
loro vesti sacre, rinnegando quelle promesse sacrosante fatte davanti a Dio e
alla Chiesa.
L’insegnamento che ci trasmette la Santa è che Gesù si
serve anche di mezzi dolorosi e inconcepibili come questi, per ricavare del
bene dalle anime, e lo esige soprattutto dai sacerdoti che hanno giurato
fedeltà a Dio, e servizio al gregge che è stato loro affidato.
Se ci si affida a Gesù e Maria, anche nelle cadute, essi strapperanno dalle grinfie del serpente antico le anime che a loro si affidano.
Vi auguro una santa meditazione:
“Un padre domenicano, Padre Vicente Barron, commissario
dell’Inquisizione a Toledo e poi a Salamanca, confessore ordinario del padre di
Teresa e a sua volta anche di Teresa
stessa, già da quasi sette anni viveva
in pericolo di dannarsi, intrattenendo una relazione con una donna del luogo,
pur continuando a dir messa.
La cosa era talmente pubblica, ch’egli aveva perduto il
suo buon nome e la sua reputazione, ma nessuno osava affrontarlo su tale
argomento.
Io ne sentii molta pietà, perché gli volevo molto bene:
tale era infatti la mia cecità e leggerezza, che stimavo virtù serbar fedeltà e
riconoscenza a chi mi amava.
... tutto il bene che la gente ci fa non lo dobbiamo che
a Dio, eppure riteniamo che sia virtù non rompere un’amicizia, anche se
contraria al Signore.
Cercai di sapere di più, informandomi presso i suoi di
casa, e conobbi meglio la gravità estrema del suo stato: venni però a sapere che quel
poveretto non era poi tanto colpevole, giacché quella sciagurata donna gli
aveva fatto dei sortilegi in un amuleto di rame, pregandolo di portarlo al
collo per amor suo. E nessuno era stato capace di farglielo posare.
... gli uomini si guardino dalle donne che si comportano
in tal modo e vogliano ben credere che se hanno perduto il pudore al cospetto
di Dio (esse che più degli uomini sono tenute all’onestà dei costumi), non
meritano più fiducia in nulla, essendo capaci di qualsiasi cosa pur di far
trionfare la loro volontà e la passione che il demonio mette loro in cuore.
... io non ho mai voluto far del male a qualcuno né, se
anche lo avessi potuto, mai avrei costretto chicchessia ad amarmi contro la sua
volontà.
Discorrevo con lui molto spesso di Dio.
Per farmi piacere, si decise a consegnarmi l’amuleto,
ch’io feci gettare subito nel fiume. Liberato che ne fu, cominciò subito, come
chi si desta da un gran sonno, a ricordare tutto ciò che aveva commesso in
quegli anni, e inorridendo di sé stesso e affliggendosi della sua perdizione,
cominciò a detestarla.
Nostra Signora certo lo aiutò assai, che egli era molto
devoto della Sua Concezione e ne celebrava con gran fervore la festività.
Infine cessò affatto di vedere quella donna e non si
stancava di rendere grazie a Dio per averlo illuminato. Dopo un anno esatto dal
giorno che l’avevo conosciuto, egli morì: aveva ormai già servito molto il
Signore.
Quanto a quel sacerdote, sono certa che si trova in luogo
di salute (Paradiso), perché fece una buona morte, senza più dimostrare il
minimo attaccamento a quell’ occasione peccaminosa.
Si direbbe che il Signore abbia
voluto salvarlo con questo mezzo.”
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